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GLI UNICI LIBRI CHE VEDEVAMO ERANO QUELLI CHE CI TIRAVANO PER SVEGLIARCI

Che dire della formazione? Probabilmente è qualcosa di simile a un discorso di Bergoglio. Una cosa che non puoi non essere d’accordo. A parole naturalmente, perché poi, nella vita di tutti i giorni… E beh, sti immigrati sono davvero troppi, e poi io  mica faccio il papa, io… Io devo andare a lavorare, devo prendere il pullman, c’ho il muto da pagare, mica me li regalano a me i soldi… E via andare fino a pensare che l’autoproclamato “bravo cristiano” Salvini non c’ha mica tutti sti torti.

Ecco, la formazione me la immagino una cosa così. L’azienda dice che il suo focus rispetto alle human resources è il training development (in pseudoinglese fa più figo) e i colleghi dicono che la formazione è importante, e devono farne di più e allora si che potrebbero…

Poi la realtà è una cosa ben diversa.

La realtà è che l’azienda di formazione ne fa davvero poca, perfino nei momenti di radicale cambiamento organizzativo o addirittura nei confronti dei colleghi a cui viene cambiata la mansione.

Il grafico qui sotto evidenzia come la stragrande maggioranza dei colleghi che hanno dovuto affrontare un cambio mansioni (quasi 350 nel solo ambito delle filiali da noi indagate) non abbiano ricevuto alcun tipo di formazione specifica inerente la nuova professionalità. Inoltre, nei pochi casi in cui c’è stato un processo formativo, questo è avvenuto in via del tutto prevalente attraverso l’affiancamento.

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Si tratta di dati veramente preoccupanti. La formazione, in particolare quella strutturata, è nei fatti completamente trascurata. Lo è nelle scelte aziendali e, di conseguenza, lo diventa nella scala di importanza dei colleghi.

Il grafico seguente mostra come la stragrande maggioranza dell’intero campione (oltre 1.200 colleghi a cui abbiamo chiesto se ritenessero più utile gli affiancamenti o la formazione strutturata), consideri la formazione strutturata come del tutto accessoria rispetto alla gestione delle problematiche professionali.

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Un altro indice della scarsa attenzione per la questione della formazione e la disastrosa gestione della “formazione a distanza”. L’azienda la utilizza in modo pilatesco per assolvere in modo del tutto formale agli obblighi previsti da varie normative e i colleghi non le riconoscono una vera capacità di sviluppare le loro conoscenze. In conseguenza di ciò le direzioni locali non predispongono spazi e tempi protetti ed esclusivi dedicati a questi processi formativi che vengono svolti stancamente e distrattamente tra il servizio di un cliente e  l’altro, o addirittura non svolti del tutto in misura direttamente correlata al crescere dei carichi di lavoro e diminuire degli organici.

Il grafico qui di seguito mostra la risposta dell’intero campione alla domanda sulla frequenza con cui viene effettuata la formazione a distanza.

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Le conclusioni sono sconfortanti. Tra il dichiarato e il praticato passa un mare ampio e tempestoso. I lavori cambiano, le esigenze di professionalità specifiche (tradizionali, ma anche innovative) crescono,  si delineano carenze di managerialità diffusa e – per contro – la formazione continua ad essere considerata un orpello, una perdita di tempo burocratica, un pio desiderio.

Nella migliore delle ipotesi (ed è veramente difficile considerarla “migliore”) azienda e colleghi convergono nel praticare / tollerare una sorta di apprendistato artigianale, in cui il neofita si affianca all’esperto di turno per assorbirne i segreti del mestiere. Questa procedura ha indubbiamente notevoli vantaggi in termini di immediatezza e efficacia corrente; inoltre è certamente preferibile al nulla o – ancora peggio – a processi formativi strutturati, ma puramente di facciata. Ma se l’intero processo formativo si esaurisce nel passaggio di conoscenze acquisite e “tradizionali”, le sfide imposte dalle innovazioni tecnologiche, dai mutevoli vincoli legislativi, dal progressivo diversificarsi ed evolversi delle esigenze della clientela, dalla competizione degli altri soggetti presenti sul mercato vedranno i colleghi sempre più in difficoltà e l’intera azienda esposta a gravi rischi competitivi.

Questa peraltro è una situazione che caratterizza l’intero sistema produttivo italiano ed è uno dei fattori che più pesantemente contribuisce a rallentarne la crescita. Un’azienda come Intesa Sanpaolo non può permettersi di giocare questa partita al ribasso e senza la dovuta attenzione. Soprattutto non può abbandonare i colleghi a uno stressante e limitativo “fai da te formativo” e limitarsi a fornire cifre di ore “erogate” senza valutare nel merito se questi processi creano davvero nuova competenza e professionalità.

La questione non è nuova, tutt’altro. Nel 1958 un brillante Clark Gable ha impersonato un ruvido giornalista “vecchia scuola” che disprezza corsi, università e titoli accademici. La sua professionalità si è costruita “sul campo” e gli unici libri che ha mai visto sono quelli che gli tiravano in testa per svegliarlo dopo che aveva passato la notte sulle strade a inseguire le notizie. Il film è Teacher’s Pet (in italiano 10 in amore): è una commedia molto divertente che mette in scena lo scontro tra la “pratica” e la “teoria” individuando come via maestra la sintesi tra le due. Se ne avete voglia, vedetelo (o rivedetelo): chissà che non offra a tutti noi qualche spunto inaspettato…

Articolo di Paolo Barrera
barrera@fisac.net

 

 

 

 


lunedì 13 luglio 2015 - Organizzazione del Lavoro, Paolo Barrera -
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