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Fotografia al femminile

Per una serie di misteriosi (ma non tanto) motivi e pregiudizi spesso si pensa alla fotografia come a un mondo maschile, in cui alle donne viene riservato un ruolo di passivi soggetti coreografici o, al massimo, di dolorosi testimoni delle tragedie che travagliano questo pianeta.

Fortunatamente la realtà è decisamente diversa e molte donne hanno scritto pagine fondamentali nella storia di quest’arte. Nel campo del ritratto, della fotografia di viaggio, del giornalismo sociale, fino al reportage di guerra. Si tratta di una realtà estremamente affascinante, che qui mi limiterò a sfiorare per suggestioni (o per “flash” utilizzando un termine del mestiere), ma che riserverà piacevoli sorprese a chi vorrà avventuravisi un po’ più approfonditamente…

 

fotoleibovitzProbabilmente una delle poche fotografe un po’ più note anche al pubblico dei non addetti ai lavori è Annie Leibovitz. Nata in Connecticut nel 1949, è famosa per i suoi ritratti di personaggi famosi, soprattutto del mondo dello spettacolo, che ha pubblicato prima su Rolling Stone e poi su Vanity Fair. Ha inoltre realizzato famosi calendari pubblicitari come quello Pirelli e quello Lavazza. La nota più rilevante del suo stile fotografico è la straordinaria capacità di entrare in sintonia con i suoi modelli, riuscendo a trasmettere una profonda sensazione di intimità tra autore, soggetto e spettatore. Molte sue foto sono diventate vere icone pop e una soprattutto è famosissima. Quella scattata a Jhon Lennon e Joko Ono il giorno prima dell’assassinio del cantante. La sua compagna di vita è stata Susan Sontag, fino alla morte della Sontag nel 2004. La Sontang, tra l’altro è l’autrice di un testo fondamentale: Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società, 1977. Si tratta di una serie di brevi saggi che si concentrano sui meccanismi della comunicazione per immagini. Una delle tesi del libro è che se la fotografia gode di un rapporto diretto e quasi della stessa natura con il reale, l’esposizione prolungata alle fotografie comporta una de-realizzazione dell’esperienza del mondo che diminuisce la nostra capacità di interagire con esso. La visione abituale dell’orribile ci anestetizza e ci paralizza: abituati a vederlo nell’immagine, non sappiamo più reagire a esso nella realtà. Questa tesi provocatoria, che definisce la cifra della riflessione della Sontag sulla fotografia (almeno in quest’opera degli anni Settanta), investe la capacità di denuncia politica e sociale della fotografia stessa, fino a sollevare una serie di problemi ancora di estrema attualità.

Click qui per una raccolta di foto della Leibovitz

 

fotoarbusUno dei saggi della Sontang si concentra su un’altra grande fotografa, di ispirazione apparentemente molto lontana da quella della Leibovitz: Diane Arbus. La Arbus nasce a New York nel 1923. Si sposa giovanissima con il fotografo Allen Arbus (di cui prenderà il cognome), avrà 2 figlie, si separerà, affronterà crisi depressive alternate e anzi spesso intrecciate a fasi di grandi euforia creativa e infine morirà suicida nel 1971. Inizialmente il campo di attività della Arbus si sviluppa nell’ambito della moda, anche se personalmente si sente molto lontana da quell’ambiente. La sua opera matura mostra invece una vera ossessione per ciò che è mostruoso e insolito: le sue fotografie ritraggono soprattutto individui tristi, affetti da handicap fisici o psichici, transessuali, nani, giganti, circensi. Una umanità di paria che la fotografia ci restituisce nella sua anomala e dignitosa identità, spesso congelata da un colpo ravvicinato di luce flash. Motivata in parte da una rivolta personale contro l’estetica del fascino perpetrata dalla fotografia di moda, in cui la Arbus ha per lungo tempo lavorato, la sua opera in verità è un buon esempio, secondo la Sontag, della tendenza dominante nell’arte dei paesi capitalistici: “Eliminare, o almeno attenuare, il disgusto sensoriale e morale. Gran parte dell’arte moderna si sforza di abbassare la soglia del terribile”. Nelle foto della Arbus si manifesta in modo drammatico quello che secondo la Sontag è l’effetto generale delle immagini fotografiche, nella misura in cui ci offrono un’esperienza visiva illimitata del reale. L’intero archivio di Diane Arbus è conservato presso il Metropolitan Museum di New York. Una sua frase che può sintetizzare la sua opera (e la sua vita) può essere: “La cosa che preferisco è andare dove non sono mai stata”.

Click qui per una raccolta di foto della Arbus

 

fotoarnoldEve Arnold rappresenta un altro sviluppo del percorso fotografico. Nata a Philadelphia nel 1912 si avvicina giovanissima alla fotografia. Si sposa, ha un figlio, divorzia. La sua attenzione si concentra da subito su temi sociali, sulla questione dei neri americani, Arlem, Malcom X. E’ la prima associata donna della Magnum, la famosissima agenzia fondata da Cartier Bresson. La gestione della luce naturale e dei suoi effetti in fase di scatto sono la sua cifra stilistica. Successivamente avvia una lunga parentesi di collaborazione artistica e, in alcuni casi, di vera amicizia con famosissime star di Hollywood tra cui Clark Gable, Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor, Orson Welles. Nel frattempo si avvicina anche alla foto di viaggio che sperimenta durante questa fase in due memorabili reportage su Cuba e Haiti e che svilupperà definitivamente nell’ultima fase della sua carriera. Il 1969 coincide con il viaggio in Afghanistan. Ritornata a Londra, nel 1971, inizia a lavorare al suo primo documentario, “Dietro al velo” che racconta la condizione della donna in Medio Oriente attraverso i racconti raccolti ai matrimoni e negli hamman dell’Egitto e di Dubai.Nel 1979, dopo dieci anni di attesa, riesce ad ottenere il visto per entrare all’interno del territorio cinese, dove in due viaggi consecutivi trascorrerà quasi 5 mesi, visitando scuole, fattorie comuni e centri produttivi, fotografando anche artisti, insegnanti e professionisti. Percorrendo più di 40.000 miglia, visita anche la regione della Mongolia dove scatta delle foto indimenticabili. Muore centenaria a Londra. Le sue fotografie sono in mostra dal 15 gennaio al 27 aprile 2014 a Palazzo Madama di Torino, in occasione di “Eve Arnold: Retrospettiva“.

Click qui per una raccolta di foto della Arnold

 

fotolarsenIl percorso professionale di Lisa Larsen è in qualche modo non lontano da quello della Arnold. Nata in Germania nel 1925 fugge giovanissima dal paese nazista e si rifugia negli Stati Uniti. Inizia a lavorare nel campo fotografico e ben presto diviene nota come la “glamour girl” dell’ambiente per il suo modo di far emergere il lato piacevole e solare dei suoi soggetti. I suoi ritratti sono realistici ed empatici e favoriscono il successo presso il pubblico tanto dell’autrice che dei personaggi ritratti. Successivamente si dedicherà al fotogiornalismo. Nel 1956 in piena guerra fredda riesce a farsi accreditare per un servizio in Unione Sovietica. Durante un comizio il presidente Kruscev, indicandola fra la folla, esclama: “In fondo gli americani sono brave persone“. Sempre nel 1956 si spinge fino in Mongolia, primo fotografo occidentale a mettere piede in quel paese. Le sue immagini, pubblicate da Life, sono emozionanti e raccontano la sconosciuta realtà mongola al mondo intero. La Larsen muore a soli 34 anni, nel 1959, per un tumore al seno.

Click qui per una raccolta di foto della Larsen

 

fotobourkeAnche Margaret Bourke-White deve la sua fama alla fotografia di viaggio. Nata nel 1904 a New York, poco più che ventenne, dopo un breve e burrascoso matrimonio, scopre la sua vocazione: la fotografia. Si trasferisce a Cleveland dove, realizza pionieristiche e splendide fotografie industriali– fornaci, metallo fuso, ponti, ferrovie, pinnacoli – destinate a fare scuola. Nel 1929 torna a New York per partecipare a un nuovo progetto, la rivista Fortune. Va tre volte in Russia a documentare le fasi del piano quinquennale staliniano, pubblica libri con le sue foto, vive e lavora a Manhattan. Gli anni della Depressione segnano una nuova svolta. Conosce lo scrittore Erskine Caldwell (che diventerà suo marito per un breve periodo), e insieme a lui percorre il Sud americano segnato dalla siccità e dalla povertà. Dal loro sodalizio nasce il libro You Have Seen Their Faces del 1937.Per lei significa scoprire un fatto nuovo, nella vita e nella fotografia: il valore del fattore umano e sociale. Torna a New York, per partecipare alla nascita della rivista che più di ogni altra deciderà il gusto e lo stile fotografico degli Stati Uniti, LIFE. Continua a viaggiare. Fotografa la Seconda guerra mondiale, partecipa ai raid aerei in Africa, passa due lunghi periodi sul fronte italiano, torna in Germania con le truppe americane ed entra con loro, prima fotografa, nel campo di Buchenwald appena liberato. Qui il dovere di testimoniare diventa un’esperienza durissima, ai limiti della sopportazione. Al termine della guerra è in India per documentare la divisione con il Pakistan, conosce Gandhi e fotografa i suoi ultimi istanti di vita. Poi il Sud Africa, la Corea. Morirà nel 1971, al termine di 20 anni di lotta estenuante contro il Morbo di Parkinson. “Sono sempre stata contenta delle scelte che ho fatto. Una donna che vive una vita vagabonda deve essere capace di affrontare la solitudine, deve avere una stabilità emotiva, una cosa molto più importante della stabilità economica. Se sai di poter contare su di te, la vita può essere molto ricca, anche se questo richiede una grande disciplina. Non devi fare richieste, gli altri devono avere il diritto alla libertà pari al tuo. Devi essere capace di affrontare le delusioni con generosità: sei tu che fai le regole e se le segui sarai ricompensato.”

Click qui per una raccolta di foto della Bourke-White

 

fotomeiselasPiù recentemente Susan Meiselas ha dato nuova forma e forza al reportage di guerra, con uno stile personale e ruvido. Nata a Baltimora nel 1948, si è laureata ad Harward in Scienze dell’educazione visiva. Il suo primo, dirompente, lavoro è stato un reportage sul fenomeno delle spogliarelliste da Luna Park negli Stati Uniti. Alla fine del 1970 ha documentato l’insurrezione in Nicaragua e la problematica situazione dei diritti umani in America Latina .Nel 1981, ha visitato un villaggio distrutto dalle forze armate in El Salvador e ha documentato il massacro di El Mozote, lavorando con i giornalisti Raymond Bonner e Alma Guillermoprieto. Le sue fotografie della rivoluzione nicaraguense sono state utilizzate in libri di testo in Nicaragua. Il suo documentario “Immagini da una rivoluzione” racconta il suo ritorno nei luoghi fotografati 10 anni dopo la guerra. Nel 2004, Meiselas è tornata ancora una volta in Nicaragua e ha installato 19 murales utilizzando immagini delle sue fotografie sui luoghi originali in cui sono state scattate. I suoi lavori sono stati pubblicati in giornali e riviste tra cui The New York Times , The Times , GEO e Paris Match . Nel 2006, ha ricevuto la Royal Photographic Society s ‘Centenary Medal e Honorary Fellowship (HonFRPS) in riconoscimento del grande contributo all’arte della fotografia. Attualmente sta documentando la guerra civile in Siria. In un’intervista del 2008, la Meiselas ha dichiarato: “Non voglio rinunciare alla necessità della testimonianza e all’atto fotografico come risposta, una risposta responsabile. Ma allo stesso tempo non voglio assumere, in una sorta di modo ingenuo, che l’atto di scattare un’immagine sia sufficiente. Cosa ci può essere di sufficiente? E quale accrescimento della conoscenza c’è in questo processo di creazione, pubblicazione, riproduzione, esposizione e ricontestualizzazione del lavoro fotografico in un libro o in una mostra? Posso solo sperare che ci evidenzi una serie di domande”.

Click qui per una raccolta di foto della Meiselas

 

fotolandoInfine una brevissima citazione per una giovane fotografa italiana contemporanea: Sara Lando. Non vi dirò nulla di lei, limitandomi a rimandarvi al suo blog. La Lando infatti, oltre che un’ottima professionista nel campo della fotografia, è una blogger geniale e travolgente. Provate a sfogliare i suoi post per catapultarvi in un mare di idee, stimoli, recensioni, consigli…

http://www.saralando.com/blog/

 

Articolo di Paolo Barrera
barrera@fisac.net

 

 

 

 

 


mercoledì 5 marzo 2014 - Fotografia, Paolo Barrera -
Commenti
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Caro Paolo,
approfitto del tuo bel articolo per segnalarti un’ altra brava fotografa: un’amica, con cui condivido la passione per la danza afro, si chiama Francesca Tosarelli e a mio avviso merita una menzione.
Dai un’occhiata al suo sito e fammi sapere cosa ne pensi:
http://www.francescatosarelli.com‎
Un abbraccio.
Federica

Grazie mille per la segnalazione. Una reportagista solida e “immersiva”. Come deve essere, per poter trasmettere le emozioni, oltre ai fatti. Anche se con la capacità di tenerli separati, cosa tanto importante quanto non semplice. Un ottimo uso dei grandangoli e della luce naturale. I cromatismi forse sono un po’ troppo saturi, ma quella è solo questione di gusti, e in fondo non è una cosa così importante, a fronte della potenza delle immagini… Complimenti alla tua amica!
Ciao.
Paolo

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I diritti di autore del personaggio "Tasso" sono di Gianfranco Goria.



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