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J.P. Morgan e la Democrazia

jpmorganHo sempre avuto l’abitudine di acquistare ogni mattina un giornale, ma da lunghi anni sono solito leggerlo sempre il giorno successivo.  Talvolta acquisto dei periodici e in questi casi, siano essi La Settimana Enigmistica piuttosto che Micromega i tempi di lettura – o di soluzione di rebus e sciarade – superano di molto la settimana. Trovandomi ora a scrivere un pezzo per Il Tasso, la mia indole ritardataria non migliora: e così, ritorno ad una notizia giornalistica vecchia ormai di mesi.

Su diversi giornali – ad esempio Il Fatto Quotidiano del 19 giugno (click qui), Repubblica del 21 giugno – sono comparsi articoli che segnalavano la pubblicazione da parte della Banca JP Morgan di un memorandum datato 28 maggio 2013 nel quale s’indicavano le presunte cause del persistere della crisi economica in tutta la sua gravità in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia.

Secondo la banca americana, una causa rilevante era da indentificarsi nelle carte costituzionali di quei paesi, tutte permeate di ideologia socialista. In particolare, sempre secondo il memorandum, tali costituzioni attribuirebbero poteri troppo esigui ai governi e tutele eccessive ai lavoratori; inoltre favorirebbero il clientelismo; infine il quadro politico di Italia e Grecia sarebbe compromesso dal diffondersi di partiti populisti. A causa di tutto ciò, i paesi mediterranei non riescono a portare avanti con la necessaria energia le riforme strutturali indispensabili per il risanamento economico.

E’ appena il caso di ricordare che le riforme strutturali sono sempre le stesse: riduzione radicale dello stato sociale per mezzo di drastici tagli di spesa a scuola, sanità, assistenza sociale; aumento dell’età pensionabile e decurtazione delle pensioni; licenziamento di dipendenti pubblici; privatizzazione dei beni pubblici; inasprimento fiscale che peraltro non è accompagnato da una  seria lotta all’evasione fiscale, evasione usualmente ascrivibile ad una parte più o meno ampia del lavoro autonomo.

Dopo aver terminato la lettura degli articoli di giornale, ammetto di aver provato un senso di disagio e imbarazzo. Invece, non mi sentivo in alcun modo stupito o scandalizzato, assolutamente no: sarebbe davvero ingenuo pensare che i modelli politici di una grande banca americana siano non dico Karl Marx ma anche solo Léon Blum o John Maynard Keynes.

Ho provato quel sentimento di disagio che si prova quando durante una conservazione siamo costretti ad ammettere che il nostro interlocutore è qualcosa di diverso, di altro rispetto a noi; noi lo abbiamo sempre saputo, ma abbiamo sempre taciuto per mera cortesia. Semplicemente, l’interlocutore lascia cadere la maschera e si mostra apertamente per quello che, senza curarsi di essere sgradevole e imbarazzante.

Il nostro interlocutore non è il cortese elegante affabile signore che sembrava essere.  Che cosa è successo?  Di colpo una camicia di seta bianca si è mutata in una camicia forse nera o forse bruna?  Abbiamo assistito ad un brillante divertissement intellettuale, come quello dello shakespeareano Riccardo III che nel film diretto da Richard Loncraine nel 1995 abbandona i farsetti rinascimentali per una sinistra e nera uniforme d’inconfondibile taglio teutonico e anni ’30? Dobbiamo sentire il dovere si esclamare “J.P. Morgan è una banca fascista?”

No, assolutamente no. E non solo perché nella lingua italiana suona assai stridente accostare un aggettivo che definisce un pensiero politico – come tale espressione di una persona fisica – ad un’entità societaria.

Al primo colpo d’occhio nella boutade della banca americana si percepisce l’ostilità dichiarata verso qualunque forma di opposizione politica e verso le istituzioni – parlamenti ed autonomie locali – dove esse si esprimono. Certo questa ostilità era tipica del fascismo, ma in realtà è stata una costante di più o meno tutti i sovrani assoluti e di tutte le oligarchie, in ogni epoca storica ed in ogni paese. Potremmo forse definire fascista l’imperatore Caligola per il suo odio nei confronti del Senato di Roma oppure Luigi XIV di Francia intento a reprimere la fronda dei principi ?  Assolutamente no, non ha alcun senso.

Andiamo avanti di qualche secolo: ha forse senso definire fascisti i governi dell’Inghilterra vittoriana? Ovviamente no, anche in questo caso, non ha alcun senso: l’Inghilterra ottocentesca era uno stato di diritto che garantiva quelle libertà formali – la libertà di pensiero, di stampa, di associazione eccetera – che invece nell’Italia fascista erano più o meno gravemente limitate dal codice penale.

costituzione-italianaMa proviamo a pensare come i governi inglesi gestirono quella tragedia che fu la carestia che colpì le campagne irlandesi fra il 1845 ed il 1849, una carestia causata da un parassita che faceva marcire le patate, principale alimento dei contadini irlandesi.  Tale evento fu totalmente sottovaluto e gestito con assoluta noncuranza.  In un’ottica economica strettamente liberista, si trattava di un problema di allocazione della popolazione e delle risorse alimentari in un dato territorio, l’Irlanda per l’appunto. Nell’ottica liberista, il mercato è perfettamente in grado di regolarsi da solo, di spostare le persone, le merci, il denaro con le modalità più convenienti ed opportune, ogni intervento pubblico è inutile se non dannoso. E nell’ottica politica liberale e conservatrice, lo Stato non è chiamato a risolvere i problemi alimentari, è impegnato in ben più elevati compiti: la giustizia, la politica interna – o meglio l’ordine pubblico – e soprattutto la politica estera e la difesa, compiti, questi ultimi, che applicati all’Inghilterra vittoriana avevano un palese significato imperiale.

E così, uomini e risorse furono redistribuiti con una migliore allocazione, secondo il modello teorico sintetizzato – e banalizzato, lo ammetto – in poche righe. In altre parole, applicando con una convinzione fideistica e ottusa un modello politico ed economico espressione di una ristretta oligarchia, un numero imprecisato di contadini, che è stimato con larga approssimazione in circa un milione, furono lasciati morire di fame ed un numero di persone forse doppio emigrò negli Stati Uniti.

Il Fascismo ha una precisa collocazione storica, che non è il presente: evocarlo sarebbe soltanto ingenuo.  Altre idee politiche – in senso assai lato, potremmo anche definirle apolitiche –sono sempre attuali, nel secolo XIX come oggi: propongono nella maniera più pervasiva soluzioni politiche ed economiche presentate come le uniche possibili e come le più vantaggiose per l’intera cittadinanza. Invece, tali soluzioni – le sedicenti riforme strutturali, di cui abbiamo detto all’inizio, piuttosto che la leggenda del mercato capace di autoregolarsi al meglio nell’interesse generale, peraltro strettamente correlate – sono solo una fra le molte opzioni possibili e sono quelle più vantaggiose per una ristretta oligarchia finanziaria.

J.P. Morgan continua a proporre soluzioni già applicate negli ultimi anni in Grecia, Spagna, Portogallo, Italia ed altri paesi e che hanno avuto quale risultato un aggravamento della crisi economica che continua dal 2008: i “sacrifici” hanno comportato un aumento della disoccupazione, gravi tagli allo stato sociale, perdita del potere d’acquisto, in una parola un impoverimento diffuso.  A queste soluzioni, ancora e ancora riproposte nonostante i pessimi risultati ottenuti, aggiunge l’insofferenza di qualunque regola e di qualunque intervento pubblico, l’indifferenza per qualunque conseguenza sociale derivante da tali scelte politiche, la cancellazione dell’idea d’interesse pubblico sostituito dall’interesse dei pochi se non dei pochissimi. Non si tratta di fascismo, ma di certo non sono idee politiche democratiche, almeno se ci riferiamo alla democrazia sostanziale ed inclusiva e non solo ad una mera democrazia formale.

Massaia128Alberto Massaia
alberto.massaia@fisac.net


venerdì 27 settembre 2013 - Alberto Massaia, Suggestioni -
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