Mobbing
PREMESSA ED ETIMOLOGIA DEL TERMINE
Si tratta di una materia solo di recente studiata, teorizzata e normata, ma purtroppo già molto nota e più vicina di quanto si possa immaginare alla realtà quotidiana, soprattutto dei luoghi di lavoro. La materia è inoltre molto delicata per via del fatto che il confine tra lecito ed illecito è parecchio nebuloso: nella pratica risulta complesso stabilire il limite del legittimo esercizio del comando e dell’organizzazione dall’ uso aggressivo ed arbitrario degli stessi, con ripercussioni anche gravi sull’equilibro fisico e psichico dell’individuo.
Nella comune accezione corrente tale comportamento, nelle sue varie sfumature di attuazione, ha sempre una connotazione di negatività: quella del danneggiamento della sfera di benessere psicofisico della persona finalizzata alla sua espulsione dal gruppo sociale al quale appartiene ( gruppo, famiglia, ufficio ect.).
Sotto l’aspetto etimologico, il termine è un inglesismo che deriva dal verbo to mob che significa per l’appunto aggredire, accerchiare. Negli anni 70 è stato usato dall’etologo Lorenz per descrivere un comportamento aggressivo da parte di individui della stessa specie finalizzato ad espungere un membro dal gruppo di appartenenza.
In italiano è alquanto comune usare il verbo “mobbizzare” per indicare la commissione di atti di mobbing,”mobbizzatore” per indicare colui che compie atti di mobbing e ”mobbizzato” per indicare colui che subisce gli atti di mobbing.
FINALITA’ CARATTERISTICHE E FASI
E’ pacificamente riconosciuto che la finalità del mobbing è comunque e sempre distruttiva: le serie sistematiche di azioni, ripetute nel tempo, hanno il preciso scopo di danneggiare il mobbizzato, con comportamenti che mirano a distruggere progressivamente la sfera psicologia, sociale e professionale della vittima, con effetti devastanti sull’equilibrio psicofisico della stessa, che può raggiungere l’apice con il suicidio oppure – al contrario – con progetti di uccisione del mobbizzatore. La persona perde progressivamente il rispetto degli altri, la fiducia in se stesso, gli amici, l’entusiasmo sul lavoro, sino ad arrivare alla perdita della dignità e, quasi sempre, della salute.
Gli effetti devastanti sono ampliati dal fatto che spesso le difese non sono sempre di immediata e semplice evidenza e dipendono per lo più dalle caratteristiche caratteriali del mobbizzato (per lo più, come spesso accade, già in situazioni di criticità individuale che lo espongono ad un maggior rischio di aggressione).La statistica ha evidenziato che non esiste una vera e propria categoria preferenziale di mobbizzati. Ognuno potrebbe esserlo e per lo più chi ne è vittima non ne conosce il motivo. Ciò che è invece certo è la posizione di inferiorità della vittima (inferiorità non rispetto all’intelligenza o alla cultura bensì come status di presunta “diversità”).
Statisticamente invece i mobbizzatori sono le persone con problemi caratteriali, i collerici, gli ipercritici, i megalomani, frustrati in genere i quali, talvolta, non si rendono neppure conto dei danni che provoca il loro comportamento di sfogo della repressione e che dichiarano di stupirsi dei risultati nefasti.
Il mobbing è sempre esistito e, purtroppo, per molto tempo tollerato quale “regola del gioco”, soprattutto negli ambienti di lavoro. Solo di recente si è teorizzato e seppur timidamente normato.
Essendo il mobbing un fenomeno progressivo sono state teorizzate, secondo il modello italiano di H. Ege (Mobbing: che cosa è il terrore psicologico sul posto di lavoro – in Proteo n. 2/2000), varie fasi, dalla zero alla sei:
- la pre fase (o fase zero) è quella della conflittualità, caratterizzata dal fatto che alcuni individui vogliono “elevarsi” rispetto agli altri;
- la prima fase è quella del conflitto mirato, nella quale si individua la vittima e si canalizza su di essa la conflittualità;
- la seconda fase – che è l’inizio vero e proprio del mobbing – è caratterizzata da un inasprimento delle relazioni che causano disagio e fastidio;
- la terza fase è caratterizzata dai sintomi veri e propri del mobbing, quali depressione, insicurezza, insonnia, problemi digestivi;
- nelle fasi successive – dalla quarta alla sesta – i sintomi peggiorano progressivamente sino ad arrivare a ledere la salute psicofisica dell’individuo sino alla distruzione della sua personalità.
Gli ambienti nei quali può manifestarsi il mobbing sono i più vari.
Anche in seno alla famiglia stessa è possibile che si manifestino dei fenomeni di mobbing, generati dalla conflittualità tra coniugi o familiari e finalizzati all’estromissione dei poteri decisionale nei confronti della gestione della famiglia o nell’educazione dei figli.
Anche nell’ambiente della scuola il mobbing non è sconosciuto (seppur spesso sminuito e scambiato per il c.d “bullismo”). Può esservi mobbing “orizzontale” da parte del “branco” nei confronti di un compagno o di più compagni deboli ovvero portatori di differenze, di vario tipo. Mobbing “dall’alto” perpetrato da insegnanti verso uno più discenti per motivazioni varie ( antipatia, mancanza di rispetto delle regole) con episodi di denigrazione, di vessazione, di punizioni ingiustificate ed eccessive. In ultimo, seppur meno evidente, il c.d. “dal basso”, perpetrato con aggressività da parte di un gruppo di studenti nei confronti di insegnati ritenuti deboli in quanto incapaci di mantenere la disciplina di classe ed assolvere i propri compiti educativi.
Anche nelle altre varie tipologie di aggregazione sociale quali circoli sportivi, associazioni e simili (compresi i reality televisivi quali il “grande fratello”) non è escluso il fenomeno di comportamenti denigratori qualificabile quale mobbing, anche se in esse difficilmente gli stessi sono giuridicamente sanzionabili e per lo più di interesse della scienza psicologica e sociale.
Liliana Perrone
liliana.perrone@intesasanpaolo.com
lunedì 17 giugno 2013 - Legale, Liliana Perrone -
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