Isolare la CGIL? Grave errore... 

Lo scorso 16 novembre le associazioni datoriali (Confindustria, ABI, ANIA, ecc.) e le Organizzazioni Sindacali Cisl, Uil e Ugl hanno firmato il cosiddetto “accordo sulla produttività”, non condiviso dalla Cgil.

Purtroppo, già il 22 gennaio 2009 – complice un governo che soffiava sul fuoco delle legittime diversità di veduta delle sigle sindacali – Cisl e Uil avevano firmato un accordo quadro sulla contrattazione senza l’assenso della Cgil. Ritenevamo, infatti, pericolosi soprattutto due aspetti:

-         L’indice inflattivo ISTAT, previsto fino ad allora come riferimento per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali, veniva sostituito con l’indice IPCA, depurato peraltro della componente energetica d’importazione.  L’aumento dei carburanti e non solo, insomma, doveva essere a carico dei lavoratori!

-         Molto peggiore era la possibilità concessa per la prima volte alle singole imprese di derogare in peggio il contratto nazionale con singoli accordi aziendali. Noi stessi, in Intesa Sanpaolo, ne abbiamo poi visto l’applicazione pratica nel gennaio 2010 con l’accordo separato sulle nuove assunzioni ai poli Back Office: aumento delle ore lavorate, diminuzione del salario, diminuzione del ticket pasto, ecc. Insomma, un vero e proprio stravolgimento delle norme del CCNL, che dovrebbe tutelare i trattamenti minimi comuni ai lavoratori di un settore. Ma l’applicazione più dirompente della possibilità di derogare in peius il contratto nazionale si è avuta senza dubbio nel settore metalmeccanico, in particolare in Fiat.

Come abbiamo sempre dichiarato noi della CGIL, la possibilità di derogare senza limiti al contratto nazionale nelle singole aziende rischia di creare una sorta di dumping tra le varie imprese: se una del settore riesce, ad esempio, a pagare di meno i suoi collaboratori è chiaro che acquisisce – a danno dei lavoratori – un vantaggio competitivo rispetto alle concorrenti, che saranno così “obbligate” anch’esse a diminuire (possibilmente un po’ più della prima azienda) il salario dei dipendenti. E così via, in un vortice potenzialmente senza fine.

Un altro importante nodo aperto era il seguente: quali Organizzazioni Sindacali sono “maggiormente rappresentative” e possono dunque sottoscrivere con le controparti degli accordi, in deroga o meno?

Un segnale incoraggiante in questo senso era arrivato il 28 giugno 2011, quando Cgil Cisl e Uil si trovarono d’accordo e firmarono un protocollo che stabilisce i criteri con cui le Organizzazioni Sindacali vengono “pesate” diventando titolari della facoltà di firmare accordi valevoli per tutti i lavoratori. Lo stesso accordo, inoltre, prevede la possibilità di indire un referendum per abrogare un accordo firmato: insomma, si è cercato di creare una vita sempre più democratica nei luoghi di lavoro. Non è un mistero che per la Cgil è molto importante il sottoporre al voto democratico e libero dei lavoratori gli accordi firmati. Come, per altro, siamo riusciti ad ottenere nel nostro settore bancario.

Altro aspetto fondamentale: l’accordo del 28 giugno fissa degli importanti paletti alla possibilità di derogare in senso peggiorativo i contratti nazionali.

Purtroppo, l’accordo del 28 giugno 2011 ancora non ha trovato, di fatto, applicazione.

Ed ora, un mese fa, un nuovo accordo che ha visto la contrarietà della nostra Organizzazione. I punti più critici sono i seguenti:

-         Anche l’IPCA viene superato come indice per i rinnovi contrattuali, in quanto dovrà essere “coerente con le tendenze generali dell’economia, del mercato del lavoro, del raffronto competitivo internazionale e gli andamenti specifici del settore” e, soprattutto, una parte degli aumenti contrattuali possono essere demandati al secondo livello (ossia quello aziendale)

-         Vi è uno spostamento sempre maggiore di competenze dal CCNL ai contratti aziendali

-         Soprattutto – è questa a mio avviso la parte più scivolosa – le parti firmatarie si auspicano di avere mani libere su una serie di questioni ad oggi regolate dalle leggi. Si parla di temi molto importanti: orari, flessibilità, demansionamenti, inquadramenti, ecc. Siamo sicuri che, soprattutto in un momento così difficile, gli accordi non sarebbero peggiori delle leggi? Già oggi, se si vuol rendere una legge più favorevole ai lavoratori (ad esempio, riducendo l’orario di lavoro) è possibile farlo. Ciò che il legislatore ha fissato è ciò che non si può peggiorare. Perché mai dunque voler mettere mani a importanti norme stabilite per la tutela dei dipendenti? Con quale forza?

Ecco perché la Cgil ha scelto di non firmare l’accordo dello scorso novembre. Continuiamo però a lavorare strenuamente per garantire un processo unitario in tutti i percorsi possibili con le altre sigle perché siamo consapevoli che l’unità dei rappresentanti dei sindacati è fondamentale,  un valore e conferisce forza alle posizioni dei lavoratori. Per questo, la Cgil (e quindi la Fisac) ci sarà sempre a tutti i tavoli con la consueta volontà di addivenire sempre, quando possibile, ad accordi decorosi per i propri iscritti e non solo.

Concludo con una riflessione personale. Ritengo legittimo che Organizzazioni Sindacali diverse, pur con il medesimo obiettivo di lottare per il bene dei lavoratori, abbiano posizioni diverse sulle strategie per giungere allo scopo. Credo quindi che Cisl e Uil – dal loro punto di vista – siano in buona fede nel firmare questo protocollo se credono che aiuterà le sorti dei lavoratori. Certo questi contenuti non sono in alcun modo condivisibili per la CGIL, per i motivi ampiamente esposti sopra. Peraltro i fatti ci dicono che ogni volta che gli accordi sono unitari, le tutele per i colleghi sono decisamente maggiori. E più in generale il Governo, il Paese, come può pensare di ritrovare produttività (e quindi sviluppo e benessere) solo con un accordo tra una parte dei Sindacati e le Aziende? Sono anni che non esiste uno straccio di politica economica. Come immaginiamo l’Italia tra 10, 20, 30 anni? Su cosa puntiamo, su cosa investiamo i soldi pubblici? Su una maggiore industrializzazione? Se sì, su quali settori? Puntiamo sul turismo, sulla cultura, sulla qualità dei cibi da esportare? Eccetera eccetera… Come si può credere che mettendo una toppa qua e là, facendo pagare tutto il prezzo della crisi ai lavoratori su cui scarichiamo condizioni sempre più “cinesi” per far risparmiare qualche euro alle imprese e alle classi sociali più abbienti, ce la faremo? Riteniamo di star meglio mandando in pensione la gente a 70 anni (incredibilmente pare che bloccando i pensionamenti la disoccupazione giovanile cresca…) e tenendo aperti i supermercati la domenica?

Mi auguro che il prossimo governo, meno tecnico, con più visione prospettica e più cuore, riesca a disegnare un’altra Italia per il futuro nostro e dei nostri figli. La Cgil, con le sue proposte, sarà ben lieta di collaborare.

Beppe Capozzolo

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

 
Beppe Capozzolo
Autore di questo articolo,
è il responsabile per la
FISAC Intesa-SanPaolo
dell'Area Torino e Provincia
dei colleghi neo-assunti,
degli apprendisti, dei contratti di inserimento e a tempo determinato.
giuseppe.capozzolo@intesasanpaolo.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Tasso - ver.3.0 n.15 - dicembre 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits