NO al taglio di occupazione e diritti
SI a investimenti e innovazione
 

Lo sciopero del 2 luglio è destinato a rimanere un momento di svolta importante per i lavoratori di IntesaSanpaolo e non solamente perché si tratta del primo sciopero indetto per tutto il Gruppo da che questo si è costituito. La posta in gioco nella vertenza è molto alta ed il suo risultato avrà innumerevoli ricadute sulla nostra condizione per parecchi anni a venire.

Abbiamo giustamente impostato gran parte delle nostre motivazioni sulla difesa dei diritti, vorrei però in queste note approcciare un ragionamento più generale, poiché ritengo che Intesa Sanpaolo, se non tutto il settore, abbiano imboccato un strada ben precisa per resistere alla crisi, e questa strada rischia di essere gravida di conseguenze per molto tempo.

E’ evidente che lo scorso anno si era partorito un piano industriale con colpevole leggerezza e che oggi ci troviamo in uno scenario economico molto peggiorato per cui di quel piano non resta più nulla, a cominciare dal totale fallimento del “Progetto 8000”.  In una situazione nazionale e internazionale che rende molto difficile il lavoro di “fare banca” e ne restringe drasticamente i margini di profitto si richiederebbe al Management di assumere iniziative adeguate, pronte e coraggiose per garantire il futuro dell’azienda e, con essa, dei nostri posti di lavoro. Al contrario il Management suddetto latita e si rinchiude da mesi in un silenzio assordante per quanto riguarda prospettive e piani organizzativi.

L’unica azione degna di nota è quella che ha determinato l’avvio della nostra vertenza, ovvero la richiesta di pesanti tagli a diritti e trattamenti economici per i lavoratori. Una azione, tra l’altro, che si è deciso di far pilotare all’ABI, o forse sarebbe meglio dire al “sempreverde” Dott. Micheli.

Credo che in questo fatto ci sia una scelta di campo molto precisa e che il richiamo drammatizzante alla questione esodi, che pure ha un impatto sicuramente grave e di complessa soluzione, sia molto del fumo che serve all’azienda per nascondere le proprie intenzioni.

Credo che Intesa Sanpaolo, semplicemente, abbia deciso di “far quadrare i conti” utilizzando la leva che in questo momento ritiene più veloce ed efficace: il taglio dei costi.

I colleghi non sono più allora “risorse umane” da formare, professionalizzare con percorsi, incentivare con buoni trattamenti perché se “sono contenti” fanno ricavi migliori.

Sono numeri e basta, possibilmente da diminuire. Questo vuol dire essere di meno, e se non funziona il Fondo di Solidarietà ci penseranno la legge 223 ed i part time obbligatori; vuol  dire lasciare a casa i giovani perché si è obbligati a tenere i vecchi; vuol dire costare di meno azzerando tutto quello che è possibile, e meno male che almeno il CCNL l’abbiamo appena rinnovato…

La “discesa in campo” del Dott. Micheli è illuminante, in quanto si tratta certamente di un manager di altissimo profilo, ma con un “cursus honorum” molto ben radicato in questo campo…

La stessa riluttanza a palesarsi del nuovo CEO si spiega meglio con il fatto che, al contrario, appaiono fin troppo i consulenti di McKinsey che allignano a centinaia negli uffici di tutte le Direzioni. Credo sappiamo ormai tutti che la specialità di questi giovanotti di nero vestiti, che forse una banca l’hanno vista solo da clienti, non è riorganizzare, ma tagliare secondo i voleri del committente.

La negatività di queste scelte non sta solo nel prezzo che si vorrebbe richiedere ai lavoratori, sta soprattutto nel fatto che ipotecano il nostro futuro.

Non è una strada nuova in Italia, perché l’industria manifatturiera del nostro Paese l’ha percorsa per decenni; non si sono mai praticate l’innovazione e lo sviluppo, semmai la ricerca del precariato e del contenimento dei salari; tanto le nostre merci erano sempre competitive con qualche svalutazione delle Liretta, e chi oggi la rimpiange non è un buontempone ma vorrebbe tornare a poter lucrare da quelle posizioni. L’avvento dell’Euro, la globalizzazione dei mercati e la crescita di Paesi molto più competitivi  sia sul terreno dei costi che nella ricerca hanno messo a terra la nostra industria ed il Paese intero, che senza una radicale svolta comportamentale difficilmente usciranno dalla Crisi.

Oggi le Banche ci propinano la stessa ricetta! E’ veramente un po’ troppo!

Ci sono riprove della mia tesi in altri contesti aziendali che non siano i trattamenti del personale? Certo!

Intesa Sanpaolo nel 2012 ha pressoché azzerato ogni investimento in nuove tecnologie. Il budget assegnato ai singoli progetti informatici in corso è stato ridotto, a seconda dei casi, tra il 30% ed il 60%. In molti settori gli stessi budget vengono assegnati mensilmente impedendo qualunque programmazione.

Il futuro delle banche passa da una radicale riforma del modo di rapportarsi con la clientela, in termini di orari certo, ma soprattutto di prodotti, di offerte di vendita, di tecnologie distribuite, di professionalità degli addetti; tutto questo si può fare solo con gli investimenti in ricerca e tecnologia. Si può fare, soprattutto, con iniezioni robuste di personale giovane, di “nativi digitali” che sappiano usare la tecnologia per fare business e comunicazione interna.

Intesa Sanpaolo, invece, blocca gli investimenti, procede a tagli lineari dei costi, disincentiva il personale e magari ipotizza persino di licenziare quei pochi giovani laureati super ”skillati”  di cui si era faticosamente dotata.

Questa è la fotografia di una azienda che non ha futuro, questa è la fotografia di una azienda che sta decidendo di morire.

Per questi motivi la nostra mobilitazione ha una importanza straordinaria. Perché non stiamo solamente difendendo i nostri diritti: stiamo lottando per il futuro, il nostro e quello dei nostri figli.    

Roberto Malano

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

 
Roberto Malano
Segretario di Coordinamento ISGS. 
Per contattarlo:
roberto.malano@intesasanpaolo.com

 

 


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Tasso - ver.3.0 n.13 - luglio 2012 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits