In pensione? Non bastano neppure più 40 anni di lavoro

Condividiamo pienamente come Fisac Piemonte l’allarme lanciato nei giorni scorsi dal Presidente della Repubblica che ha parlato della previdenza come “… un tema che investe con drammatica urgenza le aspettative delle nuove generazioni”.

Da tempo infatti la Cgil denuncia il grave problema della sostenibilità sociale del nostro sistema pensionistico pubblico che invece – dal punto di vista finanziario – si trova oggi in equilibrio. Il combinato disposto delle riforme attuate negli ultimi anni e della crescente precarizzazione dei rapporti di lavoro ha, infatti, notevolmente ridimensionato sia le pensioni degli anziani sia, in prospettiva, quelle dei più giovani. I primi vanno incontro a un allungamento dell’età pensionabile e a una riduzione della pensione pari al 15-20% dei trattamenti attuali per effetto del cambiamento del metodo di calcolo da retributivo a misto, mentre i secondi, cui verrà applicato il metodi di calcolo contributivo, riceveranno dopo 40 anni di contributi versati, una pensione che sarà in molti casi inferiore al 50% del loro stipendio. Un giovane assunto nel 2010 con un contratto di lavoro precario e carriera discontinua che volesse andare in pensione all’età di 60 anni avrebbe, con 35 anni di contributi versati, una pensione pari al 36,4% dello stipendio, con 40 anni di contributi una pensione pari al 41,6% dello stipendio mentre, per ottenere una pensione pari al 48,5% dello stipendio, dovrebbe lavorare fino a 65 anni di età e avere almeno 40 anni di contributi versati. Da queste simulazioni appare chiaro che il tasso di sostituzione (cioè il rapporto tra pensione e ultima retribuzione) è ben lontano da un livello accettabile (55-60% dello stipendio).

Ma c’è dell’altro: applicando i nuovi coefficienti di conversione, introdotti nel 2010 dal governo Berlusconi senza alcuna concertazione con le parti sociali, avremo tutti una pensione più bassa oppure dovremo lavorare più a lungo per ottenere la stessa pensione che avremmo percepito lavorando per un minor numero di anni. Infatti il sistema di calcolo contributivo prevede, e ciò vale “pro quota” anche per chi andrà in pensione con il sistema misto, che l’importo della pensione si ottenga moltiplicando il montante contributivo individuale, cioè la somma dei versamenti effettuati nell’arco dell’intera vita lavorativa rivalutata in base al Pil e all’inflazione, per un coefficiente di trasformazione: se il Pil scende o comunque non cresce e se il coefficiente viene abbassato in funzione dell’aumento della aspettativa di vita, la pensione subirà una riduzione automatica.

Facciamo un esempio: un giovane che cominci a lavorare oggi a 24 anni di età accumulerà, dopo 35 anni di lavoro, un montante di supponiamo 700 mila euro: la sua pensione annua sarà perciò di 35.651 euro (700.000 x 5,093% che è il coefficiente di trasformazione oggi previsto per chi va in pensione a 62 anni di età). Prima della revisione dei coefficienti effettuata nel 2010, a parità di montante l’importo della sua pensione sarebbe stato di euro 38.598 (700.000 x 5,514 e cioè ben 2.947 euro in più).

Il rapporto annuale dell’Inps presentato a fine maggio disegna già oggi un quadro allarmante: nel 2010 oltre la metà dei pensionati italiani non arriva a 500 euro al mese, il 79% non arriva ai 1.000 euro e la pensione delle donne è mediamente molto più bassa di quella degli uomini. Alla luce di questa situazione, la Cgil ha chiesto ancora una volta al governo di intervenire: in un’intervista rilasciata a Repubblica, Susanna Camusso accusa l’esecutivo di “voler privatizzare lo stato sociale come è stato fatto con l’acqua”, denuncia l’iniquità del nostro sistema previdenziale “basta con le pensioni da fame, ai futuri pensionati si deve garantire almeno il 60% dell’ultima retribuzione” e chiede di sapere “dove sono finite le risorse risparmiate con l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne del pubblico impiego” perché ad oggi “non abbiamo visto né le risorse né le politiche di conciliazione cui dette risorse erano state destinate”.

La Cgil ritiene dunque che sia giunto il momento di intervenire sul sistema previdenziale pubblico e a tal fine ha elaborato una sua proposta e delle linee di intervento che saranno sottoposte al giudizio delle strutture e delle categorie nel più breve tempo possibile.

Dipartimento Previdenza e Welfare della FISAC CGIL Torino e Piemonte

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Tassoo - ver.3.0 n.08 - giugno 2011 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits