La famiglia
le ambiguità tra politiche di sostegno e critiche ai bamboccioni

Sentiamo spesso parlare di sostegno alla famiglia in televisione e sui mezzi di informazione. Da ogni parte politica – a partire dalla maggioranza attuale – la necessità di favorire la formazione di nuovi nuclei familiari è posta in primo piano. Anche la Chiesa si considera un’assoluta protettrice della famiglia.

Alcuni ministri – da Padoa Schioppa a Brunetta – si sono scagliati contro la mia generazione, costituita di bamboccioni svogliati che preferiscono rimanere sotto la gonna della mamma anziché migrare verso una casa tutta propria. È vero: ormai non sono così rari i trentenni che vivono ancora con i genitori. In parte ciò è dovuto all’allungamento dei tempi di studio, il che è un bene considerando che più è alto il livello di istruzione di un paese, più è alto il suo prodotto interno lordo.

Vi sono poi altre situazioni personali e diverse che non possiamo analizzare in un breve articolo. Il sagace ministro Brunetta ha anche argomentato come un problema all’indipendenza dei giovani d’oggi sia costituito dal reddito. Effettivamente potrebbe aver ragione, se l’ultima indagine Almalaurea del mese scorso afferma come la prima retribuzione di un laureato (un laureato!) non superi i 1100 euro. Mi complimento, dunque, con l’arguzia del ministro veneziano: la sua analisi appare già più profonda rispetto a quella del precedente Padoa Schioppa, di bambocciana memoria.

Suggerirei, però, un ulteriore elemento interpretativo. Come si può metter su casa, farsi concedere un mutuo, pagarlo, sostenere spese di riscaldamento, luce, acqua, fare la spesa, ecc se non si è sicuri che a fine mese entrerà uno stipendio sul conto corrente? La precarietà occupazionale cui sono costretti molti giovani (e, ahinoi, anche alcuni meno giovani) dei nostri giorni è sicuramente un ottimo antidoto alla voglia di abbandonare il nido genitoriale.

A supporto di questa mia tesi, vorrei portare un paio di dati. Un’indagine condotta per conto dell’ISTAT da Luigi Biggeri, secondo cui l’età media del primo figlio per le famiglie italiane è 28 anni. Alla luce di questo dato, appaiono emblematiche la tabelle seguenti che si riferiscono ai lavoratori co.co.co. e co.co.pro. la prima e ai lavoratori con partita IVA la seconda, in cui si nota come solo uno su dieci, tra la fascia di età tra 28 e 35 anni, ha un figlio! (dati IRES, 2006).

Tabella 1. I collaboratori con figli nelle diverse fasce d’età
 

Tabella 2. Presenza di figli tra i lavoratori a partita IVA per fasce d’età

 

Un ultimo dato per fugare ogni dubbio circa la correlazione tra basso tasso di natalità e instabilità lavorativa. La stessa indagine IRES del 2006 afferma che, tra le quarantenni con un contratto atipico, solo il 40% è madre di almeno un figlio. Il dato ISTAT sulla popolazione italiana di quell’età è invece dell’80%! Insomma, cari difensori della famiglia, che ne direste di lavorare per una maggiore stabilità, anziché tentare di scardinare il contratto a tempo indeterminato come avete provato poche settimane fa?

Beppe Capozzolo

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

Beppe Capozzolo
Autore di questo articolo,
è il responsabile per la
FISAC Intesa-SanPaolo
dell'Area Torino e Provincia
dei colleghi neo-assunti,
degli apprendisti, dei contratti di inserimento e a tempo determinato.
Per contattarlo: giuseppe.capozzolo@intesasanpaolo.com
 

 

Tasso - ver.3.0 n.04 - maggio 2010 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits