Ich bin ein Berliner

Il mese scorso, tutto il mondo, ma soprattutto la Germania ha festeggiato la caduta dell’odioso muro di  Berlino. Anche noi, grazie al nostro collega  Walter Panero (della filiale 17 di Genova), vogliamo ricordare questo importante momento storico attraverso piccole interviste ad alcuni abitanti di Berlino, avvenute prima e dopo il crollo del muro. 

Prima (Novembre 1989)

Walter. 19 anni. Studente di Economia e Commercio. Torino.

“In Europa ci sono due stati che portano il nome di Germania. Ci ho messo un bel po’ a capire che quella che chiamano Federale è la Germania che nel calcio indossa la maglia bianca bordata di nero e che vince spesso i Mondiali e gli Europei. E’ la Germania Ovest che ci siamo trovati di fronte nella finale dei Mondiali di Spagna del 1982. E’ la Germania del Bayern, del Colonia e del mitico Amburgo. E’ la Germania di Rummenigge, Kaltz e Littbarski. E’ la Germania i cui abitanti invadono le spiagge della Liguria o dell’Adriatico con le loro teste bionde, le loro pance bianche e le loro ragazze procaci.
L’altra, quella che chiamano Democratica, o D.D.R., o Germania Est, non è molto forte nel calcio, se si escludono discrete squadre come la Dinamo Berlino, la Dinamo Dresda, il Karl Zeiss Iena e il Magdeburgo). I Tedeschi dell’Est eccellono in compenso in altri sport come l’atletica ed il nuoto, soprattutto in campo femminile.
La cosa strana è che Berlino, il cui territorio si trova per intero nella Germania Est, è in realtà divisa in due da un alto muro sormontato dal filo spinato. Mio padre mi ha detto che è stato tirato su all’inizio degli anni ’60 dai Russi per impedire che i cittadini dell’Est tentassero la fuga verso Ovest, cosa che peraltro ha continuato ad avvenire nel corso degli anni. Mi chiedo cosa spinga i berlinesi dell’Est a cercare di fuggire andando incontro ad un arresto quasi certo. Mi domando cosa sperino di trovare e mi rispondo che devono stare davvero male se corrono tale rischio. Mi chiedo anche come vivano quelli dell’Ovest che sono totalmente circondati da un paese che parla la stessa lingua ma è straniero. Da qualche tempo, la televisione dice che le cose stanno pian piano cambiando. Con l’avvento di Gorbaciov, l’Unione Sovietica si sta aprendo al mondo. Ad agosto, l’Ungheria ha sbloccato le frontiere che la separavano dal mondo occidentale: si tratta della prima breccia nella cortina di ferro, nella quale migliaia di Tedeschi orientali si sono infilati per raggiungere l’Ovest.
Interrompo per un attimo i miei studi di matematica e ragioneria. Accendo la televisione. Si vedono scene di gente che festeggia nei pressi del Muro di Berlino. Si vedono persone che si abbracciano e brindano insieme come vecchi amici. Si vedono scene di giubilo assoluto. Sotto la pressione della folla, il cancelli del muro sono stati aperti e la gente, dopo quasi trent’anni, può finalmente circolare liberamente per la propria città. Il Muro cadrà sotto i colpi del popolo tedesco e a testimonianza della sua esistenza resteranno soltanto i pezzi portati a casa dalla gente come souvenir.
Vorrei tanto essere là anch’io in questo momento a bere e a festeggiare abbracciato a qualche prosperosa e felice bionda, non importa se dell’Est o dell’Ovest. E invece sono qui nella mia stanza. Immerso tra i miei libri e preso dai miei pensieri. Penso agli esami che inizieranno a gennaio. Penso a mia nonna ricoverata all’ospedale per un intervento chirurgico rischioso. 


Franz. 38 anni. Sottufficiale dell’esercito. Berlino Est.

“Vivo nel quartiere di Pankow con mia moglie Karin e due figli in un appartamento di ottantacinque metri quadrati messo a disposizione gratuitamente dal Partito per i militari. Mia moglie ha lavorato al Ministero degli Interni sino a quando è nato Karl, il nostro secondo figlio. Poi, ha deciso di restare a casa visto che il mio stipendio basta ed avanza per condurre una vita più che dignitosa. I nostri figli andranno all’Università e poi faranno carriera nell’esercito o nel Partito. Abbiamo tutto quello che desideriamo e non c’è nulla, assolutamente nulla, che ci manchi.
Ora però scusatemi. Devo proprio andare. Dal presidio mi hanno chiamato d’urgenza dicendo che ci sono delle agitazioni lungo il Muro e in particolare nella zona della Bornholmer Strasse a Nord della città. Saranno i soliti quattro intellettuali da strapazzo. Non li capisco proprio: parlano di libertà e qualcuno ha messo loro in testa che l’occidente sia il paradiso, ma non sanno che il mondo, laggiù, non è affatto come loro credono. Altro che libertà! Al di là del Muro, non sono per nulla liberi come pensano loro: al contrario! Sono schiavi! Schiavi del capitale!”


Brigitta. 22 anni. Studentessa di filosofia. Berlino Est.

“Sono nata e cresciuta qui nella bellissima Potsdam, a due passi da Berlino Est. Questa è la mia città e la Germania è il mio paese. Ma un giorno sarò costretta ad andarmene. Non so esattamente dove. Forse ad Occidente. Forse in America. Purtroppo, qui non ci sono prospettive per noi giovani. Sono ambiziosa: non voglio accontentarmi di un tranquillo posto statale con tanto di stipendio fisso. Voglio viaggiare. Voglio conoscere il mondo. Voglio essere libera di fare quello che più mi piace. E qui, almeno per ora, questo non è possibile.
I più ottimisti dicono che in Unione Sovietica qualcosa sta mutando e che presto le cose si modificheranno anche da noi. Papà, invece, sostiene che non cambierà mai nulla: dice che se proveremo a rialzare la testa verremo schiacciati dai carri armati sovietici come gli Ungheresi nel ’56 ed i Cechi nel ’68.
Ma ecco: alcuni amici mi hanno appena telefonato. Si trovano nei pressi della porta di Brandeburgo e dicono che là sta accadendo qualcosa. In giro si sta spargendo la voce che stanno per aprire il Muro e che il simbolo dell’oppressione sta per crollare. Io non ci credo, ma intanto prendo la vecchia Trabant  di mio padre e vado a vedere. Se davvero sta succedendo qualcosa di importante, io voglio assolutamente essere presente.”


Gunther. 67 anni. Pensionato. Berlino Ovest.

“Sono nato qui nel quartiere di Tiergarten nel 1922 da una famiglia piccolo borghese che perse tutto durante la Grande Crisi degli anni ’20. Quell’uomo ridiede loro la speranza e lo seguirono con convinzione. All’epoca, non potevano immaginare che avrebbe condotto il nostro paese, la nostra casa e la nostra famiglia verso la distruzione totale. Su tre figli maschi, sono sopravvissuto soltanto io: gli altri due sono partiti per il Fronte Orientale e non sono tornati più.
Dopo la guerra, ho trovato lavoro in un grande cantiere, mi sono sposato e ho avuto un figlio. Non avevamo niente, a parte la nostra giovinezza. Pezzo dopo pezzo abbiamo ricostruito la nostra nazione umiliata dopo la guerra perduta. Ci hanno divisi dai fratelli che stanno dall’altra parte. Hanno tirato su quel muro che resterà in piedi come perenne segno degli enormi errori commessi dal nostro popolo. Penso che resteremo divisi per sempre. E forse è meglio così. Anche se nessuno sa veramente come vivano dall’altra parte, si dice che non se la passino per niente bene. Si dice che i negozi siano vuoti. Si dice che la gente non possa parlare liberamente, che molte persone spariscano da un giorno all’altro senza lasciare traccia e vengano deportate come accadeva un tempo agli ebrei.
La nostra Germania dimezzata ha perso il proprio peso politico nel mondo, ma ha recuperato credibilità e potere economico. Siamo nuovamente un paese ricco ed autorevole, che guarda al futuro con grande ottimismo. E anche se qualcuno tra noi continua a sognare la “Grande Riunificazione”, io penso che sia meglio restare divisi. Almeno per ora.

 

Dopo ( Novembre 2009)

Walter. 39 anni. Impiegato.

“Non ho mai visitato Berlino, ma sono stato diverse volte in Germania. Vi ho trovato un paese e della gente diversi da quelli che immaginavo. Nei film di guerra e nei racconti dei miei nonni, i Tedeschi erano sempre rappresentati come cattivi e spietati. Invece, vi ho sempre incontrato persone gentili, gioviali e disponibili. Probabilmente i Tedeschi hanno insito il sentimento di chi sa di averla combinata grossa. E vogliono cercare di farsi perdonare. Certo è che, se dovessi scegliere un posto diverso dall’Italia in cui andare a vivere, probabilmente opterei per una città tedesca di quelle con molto verde e tante piste ciclabili.
Ripenso spesso a quei giorni del novembre di vent’anni fa. Ci ho pensato molto durante i mondiali del 2006 (ho avuto la fortuna di respirare per qualche giorno quel clima di festa) ed anche la scorsa estate quando le gare di marcia dei mondiali di atletica passavano proprio accanto alla porta di Brandeburgo, là dove un tempo c’era il famigerato Muro. Ripenso al fatto che, in quei giorni, mentre i miei pensieri erano presi dallo studio, il mondo stava cambiando proprio sotto i miei occhi.
La mia generazione, quella nata all’inizio degli anni Settanta, era cresciuta con il mondo diviso in due blocchi ideologici contrapposti e Berlino era la rappresentazione anche fisica di quella divisione. Per noi era assolutamente normale che esistessero due Germanie e che ci fossero paesi assolutamente chiusi al nostro mondo. Nel giro di alcuni anni tutto cambiò: l’Unione Sovietica si divise in tanti stati spesso dai nomi complicati; la Germania tornò ad essere un paese unico; la Cecoslovacchia cessò di esistere scindendosi in Repubblica Ceca e Slovacchia; in Jugoslavia si sparse troppo sangue prima di arrivare all’assetto attuale.
Nessuno di noi si rendeva conto di ciò che stava accadendo veramente a Berlino in quei giorni e soprattutto di quali sarebbero state le conseguenze di quegli eventi. Nessuno di noi aveva realizzato pienamente che, da quel momento, nulla sarebbe più stato come prima. In Germania. In Europa. Nel mondo.

Franz. 58 anni. Disoccupato.

“Pochi mesi dopo il crollo del Muro sono rimasto senza un’occupazione e mi sono ridotto a svolgere lavori saltuari e poco pagati. Mia moglie mi ha lasciato e si è portata via i ragazzi: adesso vivono ad Ovest e lei si è risposata con un ricco industriale di origini bavaresi.
Non ho più una casa, ma vivo con altri quattro disperati come me in un fetido tugurio di quaranta metri quadrati. Se in giro trovo qualcuno che dice che quando c’era il Comunismo si stava male mentre adesso tutto è meraviglioso, lo ricopro di insulti. Quel giorno, mentre quasi tutti festeggiavano, insieme al muro è andata in pezzi anche la mia vita.”


Brigitta. 42 anni. Docente universitaria.

“Non mi sono mai ubriacata come quella sera. I bar dell’Ovest offrivano birra gratis a tutti e noi ne approfittammo per bere e festeggiare per tutta la notte. La festa continuò ancora per giorni e notti intere. Il Muro era crollato e con esso il comunismo. Davanti a noi si apriva un mondo completamente nuovo che, fino a pochi giorni prima, nessuno poteva neppure sognare. Un mondo fatto di vestiti alla moda e di macchine di lusso, ma anche di giornali e libri che mai, fino ad allora, avevamo potuto leggere liberamente.
Mi sono laureata qualche anno dopo. Ho iniziato a lavorare come ricercatrice all’Università e, da qualche tempo, insegno filosofia teoretica. Ho un ottimo stipendio ed una splendida casa. Ho viaggiato molto ed ho conosciuto il mondo. Ho un marito meraviglioso originario della parte Ovest della città che, senza la caduta del muro, non avrei mai potuto incontrare. Abbiamo due splendidi bambini che si sentono Tedeschi e si stupiscono quando racconto loro di come la città, in un tempo neppure così lontano, fosse divisa da un muro.
Sono entrambi dei grandi appassionati di calcio e, durante i Mondiali del 2006, indossavano sempre la maglia della Nationalmanchaft in occasione delle partite. Sono scoppiati in lacrime quando la nostra squadra è stata eliminata in semifinale dall’Italia, ma abbiamo spiegato loro che nello sport come nella vita si può vincere ma ci sta anche di perdere. Così, qualche giorno dopo, si sono ripresi ed erano pronti a festeggiare il terzo posto dopo la partita col Portogallo. La sera della finalissima nella nostra città, abbiamo visto la partita in centro insieme a migliaia di altre persone di tutte le nazionalità. Non ci importava di chi avesse vinto: eravamo felici per il fatto di essere lì tutti insieme uniti a festeggiare. Come sembravano lontani, in quei momenti, i tempi in cui non potevi circolare liberamente. Se ripenso al giorno della caduta del muro, lo vedo ancora oggi come uno dei più belli della mia vita insieme con quello della laurea,  quello del matrimonio e quello della nascita dei miei figli.”


Gunther. 87 anni. Pensionato.

“Quando ho visto il muro cadere mi sono venute le lacrime agli occhi, come credo a tutti quanti. E l’anno successivo non vi dico l’emozione quando ho potuto per la prima volta votare per il Bundestag della nuova Germania. Non credevo che sarei riuscito a vivere abbastanza da vedere il nostro paese rinascere e tornare unito.
Ma ora che lo è, mi rendo conto che forse, se le cose fossero rimaste com’erano, sarebbe stato meglio per me. Infatti, con la riunificazione, le tasse sono aumentate di molto, perché abbiamo dovuto mantenere con i nostri soldi quelli dell’Est. Poi ci hanno tolto anche il nostro caro vecchio marco così, da qualche anno, per comprare le cose servono molti più soldi di prima.
In definitiva penso che ci sarebbero stati meno problemi se, almeno per un po’, ce ne fossimo restati ancora noi Wessi per conto nostro, senza doverci sobbarcare le difficoltà di quei poveracci degli Ossi.”

All free men,wherever they may live,   Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano,

are citizens of Berlin.                        sono cittadini di Berlino

And, therefore, as a free man,            e quindi, come uomo libero,

I take pride in the words                    sono orgoglioso di dire:

"Ich bin ein Berliner!"                    "Ich bin ein Berliner!" (Sono un Berlinese)


 (John Fitzgerald Kennedy, Rudolph Wilde Platz, Berlino, 26 giugno 1963)


Per chi volesse approfondire l’argomento segnalo i seguenti titoli:

Enzo Bettiza: “1989. La fine del Novecento”. Ed mondatori, Euro 18.

Michael Meyer: “1989. L’anno che cambiò il mondo”. Edizioni Il Saggiatore, Euro 19

Gyorgy Dalos: “Il 1989 e il crollo del comunismo sovietico”. Edizioni Donzelli, Euro 25

Jean.Marc Gonin: "La caduta del Muro". Edizioni Bompiani. Euro 21,50

Gianluca Falanga: "Non si può dividere il cielo". Edizioni Carocci. Euro 22,50

Peter Molloy: "La vita ai tempi del comunismo". Edizioni Bruno Mondadori. Euro 20.

Guido Knopp: "Goodbye DDR". Edizioni Hobby § Work. Euro 12

Walter Panero

[Per commenti all'articolo: tasso@fisac.net]

 

 

 

 

 

 

Tasso - ver.3.0 n.03 - dicembre 2009 - FISAC/CGIL ISP Liguria Piemonte Val d'Aosta - archivio - credits