Nell’estate l’ABI disdetta contemporaneamente il Contratto Nazionale di impiegati e quadri e quello di funzionari e dirigenti.

Il 6 novembre invita le banche ad avviare un confronto con i sindacati aziendali e comunica che, in assenza di accordo, bloccherà dall’1/1/98 scatti d’anzianità, automatismi ed altri istituti previsti dai contratti scaduti.

L’11 novembre il S. Paolo comunica al sindacato la volontà aziendale di cancellare l’intero impianto normativo ed economico del Contratto Integrativo Aziendale.

La speranza di molti colleghi che il processo di ristrutturazione delle banche italiane non tocchi, se non marginalmente, il San Paolo, si rivela un’illusione.

Rompendo con una tradizione di forte "autonomia" nei confronti dell’ABI, praticata fino al rinnovo del Contratto Integrativo del 96, il San Paolo si allinea al fronte nazionale, in perfetta consonanza con le posizioni sostenute da Maurizio Sella, capo delegazione dei banchieri a Roma.

La stessa azienda che un anno fa’ anticipava a 27 anni l’automatismo a CU dei neo assunti, incrementava l’assegno di CU e Q per le anzianità più alte, rivalutava l’indennità di cassa ed il ticket, ora ipotizza una drastica riduzione del salario aziendale con le modalità in seguito illustrate.

E’ una svolta tattica?

Una provocazione?

Purtroppo, tutto lascia credere il contrario.

Fra un anno l’Italia sarà nel sistema dell’Euro: prezzi e retribuzioni saranno espressi in lire ed Euro sulla base di un cambio fissato una volta per tutte in base ai cambi del 31/12/98, i titoli di stato saranno espressi nella moneta unica, ed i risparmiatori potranno investire in Euro nei paesi aderenti senza costi e rischi di cambio; il mercato finanziario avrà così un’unità di misura perfettamente comparabile.

Ciò determinerà inevitabilmente due conseguenze fondamentali: la concorrenza sarà con le banche europee, anziché nell’ambito nazionale, ed i tassi di interesse si uniformeranno sui livelli più bassi mediamente praticati negli altri paesi.

A sua volta tutto ciò determinerà il progressivo schiacciamento della differenza tra il tasso degli impieghi e quello della raccolta, riducendo i ricavi derivanti dalla intermediazione finanziaria tradizionale, che era la principale fonte di profitto per le banche italiane.

Questa riduzione del margine di interesse può essere compensata solo con i ricavi derivanti dalla vendita di servizi che, però, come qualsiasi altra merce, devono essere di alta qualità ed a costi competitivi.

Le banche italiane non riescono ad intervenire con la dovuta tempestività ed efficacia sull’innovazione dei prodotti, sull’adeguamento della rete di vendita, dell’organizzazione interna e dei sistemi informativi e quindi premono sul taglio dei costi.

In questo contesto le specificità San Paolo sfumano all’orizzonte, mentre risaltano in primo piano gli elementi strutturali che unificano le banche italiane.

Ed è quindi evidente la stretta correlazione tra il tavolo di contrattazione di categoria e quello aziendale.

In un caso come nell’altro emergono chiare per il sindacato due esigenze: in prima battuta la necessità di spostare, anche e soprattutto attraverso la capacità di lotta dei lavoratori, il fulcro dell’intervento dalla riduzione del costo del lavoro alla riorganizzazione globale delle aziende; successivamente la capacità di proposta e di elaborazione necessaria per adeguare con la dovuta gradualità i contratti ad un contesto di mercato completamente mutato.

Queste sono le coordinate dell’iniziativa sindacale sia a livello nazionale (protocollo del 4 giugno) che a livello aziendale (piattaforma "una proposta alternativa"): le prossime settimane ci diranno se il processo di ristrutturazione, che altri settori produttivi hanno affrontato nel recente passato, può proficuamente svilupparsi con l’efficacia che garantisce la tenuta dei livelli occupazionali e la gradualità che consente il necessario consenso.