La parola Welfare (letteralmente, stato del benessere") cui abbiamo fatto l’abitudine in questi mesi non è la traduzione letterale dell’italianissimo "stato sociale".

Aldilà delle espressioni linguistiche, la spesa sociale nel nostro paese presenta rispetto, non solo all’avanzato nord Europa, ma anche alla più arretrata Europa mediterranea rilevanti differenze oggettive, a cominciare dal forte sbilanciamento nelle coperture pensionistiche rispetto all’assistenza vera e propria, alle politiche attive per il lavoro, alla promozione della famiglia, alla tutela di minori e anziani.

Insieme alla constatazione di queste differenze abissali nel nostro sistema di protezione sociale si va consolidando in questi anni, nel dibattito politico e sindacale, la necessità di una trasformazione radicale della stessa idea del Welfare, che dovrebbe gradualmente ridurre la sua funzione di compensazione economica delle situazioni di disagio per assumere una forte valenza positiva nella ricerca di strumenti di promozione sociale: da uno scenario di assistenza ad un insieme organizzato ed integrato di agevolazioni, tutele e sostegno di nuove opportunità. Il Welfare in sostanza deve passare da finalità meramente risarcitorie ad un ruolo attivo di progresso delle persone in una società conflittuale che emargina soggetti e ceti sociali.Questa è la vera novità di questa intesa: alla base della trattativa del governo non ci sono stati solo gli obbiettivi di raffreddamento della spesa, ma anche le necessità di un riequilibrio delle voci e l’inizio di una trasformazione attiva" del Welfare.

Perciò anche se è trionfalistico e non corrisponde alla realtà affermare che l’intesa confederale rivoluzioni il quadro di riferimento della protezione sociale nel nostro paese, si può dire invece che tale accordo ha in sé i germi di una vera riforma: porta i segni di un riequilibrio della spesa e delle prestazioni sociali nel senso di un allargamento a soggetti prima esclusi e alla copertura di eventi solitamente trascurati e insieme delinea, sia pur timidamente, alcune funzioni nuove. La vicenda dell’intesa sullo stato sociale inizia già dall’insediamento del governo Prodi, dopo la manovra correttiva del 1996 e l’approvazione della Finanziaria del 1997; entrambe composte quasi esclusivamente da nuove entrate.

Anomalie della spesa sociale

Il governo per dimostrare che il sistema di protezione sociale del paese (in particolare il sistema pensionistico) faceva acqua ha insediato la Commissione Onofri, pomposamente definita "Commissione per l’analisi della compatibilità macroeconomiche

della spesa sociale".

La Commissione ha consegnato nella primavera di quest’anno il suo lavoro; quell’analisi era alla base dell’intervento che il governo voleva attuare sulla spesa sociale.

La Commissione Onofri ha fatto un lavoro importante, ha evidenziato anomalie del nostro stato sociale che la stessa CGIL ha da tempo ben chiare, a cominciare dalla composizione interna di questa spesa a fronte di un livello complessivo rispetto al PIL di soli due o tre punti percentuali inferiore al livello medio europeo. E’ da tempo noto, anche se indubbiamente fa una certa impressione sentirlo, che quasi i 2/3 della spesa sociale in Italia è costituita da pensioni.

In Europa le prestazioni pensionistiche assorbono meno della metà della spesa sociale complessiva, mentre ben più di un terzo della spesa è destinato alla vera e propria assistenza.

In Italia invece, mentre la spesa per assistenza arriva a poco più del 18% e quella sanitaria è complessivamente in linea con il resto della media europea, la spesa per pensioni è del doppio superiore a quella degli altri paesi: in 35 anni la spesa per la previdenza è quadruplicata, quella per la sanità raddoppiata, quella per l’assistenza ha addirittura ridotto il suo peso.

L’altra grave anomalia riguarda i soggetti esclusi o coperti in maniera largamente insufficiente: i lavoratori inseriti in un circuito di lavoro non regolare, gli inoccupati, i poveri, i bisognosi di assistenza e cura, i disoccupati.

Come allargare

il Welfare e riformarlo?

Posto che la spesa per lo stato

sociale è complessivamente in linea con la media europea come riequilibrare la spesa dando cittadinanza ai soggetti esclusi? La Commissione Onofri, cioè il Governo aveva una sua soluzione: riequilibrava la spesa riducendo in maniera significativa il costo del sistema previdenziale (le pensioni). Tale riequilibrio era per il sindacato ovviamente una linea non perseguibile; un intervento di quel genere avrebbe fatto una politica di allargamento del Welfare soltanto a spese dei soggetti che lo stato sociale (pur con tutte le carenze evidenziate) avevano fondato e prevalentemente finanziato, stante il livello di evasione fiscale di questo paese.

Il sindacato confederale ha degli interessi da difendere pur se in un quadro di sostenibilità; l’eliminazione delle pensioni di anzianità, il passaggio al sistema contributivo di lavoratori troppo avanti con gli anni per potersi costituire un’apprezzabile pensione complementare erano proposte inaccettabili per la nostra gente, abituata a considerare la pensione come la ricompensa finale per gli anni di lavoro.

Il sistema previdenziale, così come l’abbiamo conosciuto finora, è segnato da contraddizioni pesanti nel lavoro dipendente privato e quasi scandalosamente nel settore pubblicistico, nonché nel lavoro autonomo. La previdenza obbligatoria dei lavoratori dipendenti di aziende private, ha assunto negli anni una funzione prevalentemente risarcitoria nei confronti di una figura ben precisa di lavoratore, cioè del capo famiglia col posto fisso, che ha cominciato a lavorare giovane senza interruzioni. Le contraddizioni del sistema erano addirittura dirompenti nei trattamenti pensionistici degli autonomi e dei professionisti garantiti ben oltre le disponibilità economiche reali e nelle normative dei dipendenti statali o pubblici in genere. Il lavoro pubblico, all’inizio peggio retribuito ed esso stesso in parte assistenziale, ha infatti goduto per anni di prepensionamenti talmente anticipati da essere definiti baby.

Un’intesa che riequilibra e non "taglia" le pensioni

L’intesa perciò si basa su un riequilibrio della spesa sociale, che stabilizzando la spesa previdenziale nei limiti del PIL (cioè della ricchezza prodotta dal paese e da cui la spesa non può essere indipendente) cerca soluzioni graduali nella direzione del cambiamento.

Ridimensionando la posizione iniziale del governo sull’andamento della spesa, si è ipotizzato un rallentamento alla dinamica della spesa sociale di 5000 miliardi, di cui 500 alla sanità e 4500 alle pensioni (lo squilibrio tra entrate ed uscite per pensioni confermava lo scostamento dalle previsioni dell’andamento del PIL).

Per una sintesi dei punti più significativi si veda lo schema a lato.

Chi ha vinto? Chi ha perso?

Quest’intesa ha trovato oppositori di posizione opposta, in sostanza alcuni hanno considerato i provvedimenti derivanti dall’accordo ingiustamente punitivi nei confronti delle pensioni dei lavoratori dipendenti, mentre altri hanno giudicato l’impatto delle modifiche insufficiente per cambiare effettivamente le distorsioni del nostro Welfare.

L’intesa è, a nostro avviso, abbastanza positiva per i lavoratori dipendenti: conserva lo stesso impianto della precedente riforma non peggiorando, se non in maniera limitata per i lavoratori privati, i requisiti del pensionamento.

L’unificazione dei regimi certo allunga significativamente il tempo di maturazione del diritto alla pensione di anzianità per coloro che avevano normative di pensionamento anticipato: i lavoratori pubblici, i dipendenti della Banca D’Italia, i dipendenti delle Banche ex Enti di Diritto Pubblico. Tuttavia le disposizioni relative ai pensionamenti anticipati non solo non erano più difendibili in un quadro di generale unificazione, ma costituivano un peso tale per i fondi da comprometterne la solidità e le prestazioni nel tempo.

Il quadro di unificazione non era rinviabile, tanto che il risparmio derivante dall’equiparazione del Pubblico impiego contribuisce alla manovra pensionistica per ben 6000 miliardi nel triennio.

Per quanto riguarda poi le accuse di eccessiva timidezza degli interventi di riforma nella qualità dei provvedimenti e nella misura del risparmio di spesa occorre osservare che l’accordo viene dopo un periodo di notevole pressione sul sindacato sulla necessità di un forte ridimensionamento della spesa sociale e dopo anni in cui le trattative sulla finanziaria non hanno segnato alcun riequilibrio delle destinazioni di spesa.

L’accordo parla invece di rilancio della sanità pubblica, di introduzione sia pure sperimentale di un reddito minimo di inserimento, di legge quadro dell’assistenza e di formazione come sistema integrato, di dinamica della previdenza pubblica all’interno del PIL: sono passi in avanti, forse timidi, ma non insignificanti.

 

SCHEMA RIASSUNTIVO

DELL'INTESA

Assistenza e promozione del lavoro

ù Costituzione di un fondo per le politiche sociali con inserimento del reddito minimo

ù Destinazione di nuove risorse all’occupazione e alla rimodulazione degli orari

ù Legge delega di riordino degli ammortizzatori sociali nel quadro di un definitivo abbandono dei prepensionamenti

ù Incentivi alla politica della casa

ù Riavvio dei Grandi lavori

Sanità

ù Rivalutazione del Fondo sanitario Nazionale senza l’introduzione di nuovi livelli di partecipazione alla spesa

ù Introduzione di un sistema di misurazione del reddito diverso dalla dichiarazione IRPEF, che dia il diritto alle esenzioni ai soggetti effettivamente bisognosi

Previdenza

ù Separazione definitiva della previdenza dall’assistenza

ù Conferma dell’impianto della legge DINI

ù Accelerazione contenuta del periodo transitorio della riforma DINI che va a regime nel 2004 invece che nel 2008

ù Unificazione dei trattamenti

ù Esclusione dalle misure necessarie degli operai o di coloro che sono adibiti a lavori ugualmente gravosi, dei lavoratori che hanno iniziato a contribuire tra i 14 e i 18 anni, delle mansioni usuranti

ù Esclusione dell’applicazione per tutti del pro quota del contributivo